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Clima

Il prezzo nascosto della moda

03.06.2025

Oggi molte persone sono abituate a comprare vestiti con una frequenza sempre maggiore, attratte da prezzi bassi e offerte continue. La moda “ultraveloce” ha reso facile e conveniente rinnovare il proprio guardaroba più volte all’anno, spesso senza pensare alle conseguenze dietro a questi acquisti. Ma quanto ci costano davvero questi abiti? Dagli anni ’70 a oggi, la produzione globale di tessuti è quasi triplicata. Questo boom è stato trainato soprattutto dall’aumento delle fibre sintetiche, derivate dalla plastica prodotta da petrolio e gas.

Nel 2022, ogni cittadino dell’Unione Europea ha consumato in media 19 kg di prodotti tessili, l’equivalente di una grande valigia piena di abiti nuovi ogni anno. Tuttavia, è poco noto che il settore tessile si colloca al quarto posto tra le principali cause di pressione ambientale e climatica, subito dopo alimentazione, alloggio e mobilità. Secondo uno studio europeo, nel 2022 il consumo tessile ha generato circa 159 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti, pari a circa 355 kg per persona – l’equivalente delle emissioni di un’auto a benzina che percorre 1.800 chilometri. La produzione tessile è responsabile anche di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile, in particolare per via dei processi di tintura e finitura. Per esempio, per realizzare una sola maglietta in cotone servono circa 2.700 litri di acqua dolce – quanto una persona dovrebbe bere in due anni e mezzo. A questo si aggiunge l’uso intensivo di suolo per la coltivazione del cotone e di altre fibre naturali, spesso con forti impatti ambientali.

Un altro problema crescente è il rilascio di microfibre sintetiche durante il lavaggio degli abiti: circa 500.000 tonnellate all’anno finiscono nei mari, entrando negli ecosistemi acquatici e nella catena alimentare. Circa il 70% delle emissioni legate ai prodotti tessili avviene al di fuori dell’Europa, soprattutto in Asia, dove si concentra gran parte della produzione. Questo evidenzia come le scelte d’acquisto in Europa abbiano conseguenze ambientali a livello globale. La crescita del settore è incentivata anche dal marketing digitale e dal successo delle piattaforme di “moda ultraveloce”, che offrono capi a basso costo e di scarsa qualità, ma con gravi impatti ambientali. Inoltre, l’abitudine di ordinare online più taglie per poi restituire quelle non adatte genera nuovi problemi: tra il 22% e il 44% dei resi viene distrutto invece di essere rimesso in vendita, mentre il resto produce emissioni da trasporto, rifiuti tessili e imballaggi in eccesso. Le politiche di reso troppo permissive aggravano ulteriormente la situazione.

Per affrontare queste sfide, l’Unione Europea ha avviato una strategia per rendere il settore tessile più sostenibile. L’obiettivo è ridurre il consumo eccessivo e promuovere alternative come il riutilizzo, il riciclo e la condivisione degli abiti. Il cuore di questa strategia è quella di produrre abiti di qualità, pensati per durare nel tempo, e non solo per essere indossati una o due volte. Inoltre, l’UE punta ad aumentare l’uso di fibre riciclate. A tal fine, ha introdotto un nuovo regolamento che prevede che, entro il 2030, una parte significativa dei tessuti debba contenere materiali riciclati. Per rendere possibile questa transizione, verranno introdotte nuove regole obbligatorie che riguardano l’intero ciclo del riciclo: dalla raccolta degli abiti usati, alla selezione, fino al riutilizzo e al riciclo vero e proprio. Questi cambiamenti aiuteranno a ridurre i rifiuti e a migliorare l’impatto ambientale del settore tessile.

KH

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